La Waterloo economica italiana
Di Paolo Pellicciari
Nel corso di una trasmissione televisiva, un operaio
con un linguaggio “colorito” gridò: «Noi stiamo perdendo il
lavoro, il debito pubblico è alle stelle, la gente si suicida e
mentre i nostri politici discutono “dell'immortalità dell'anima de
li mortacci loro”
Le parole dell'operaio racchiudono il dramma che
vive la maggior parte della cittadinanza italiana evidenziando la
distanza abissale tra il “palazzo e paese reale”.
Il tessuto
politico da destra a sinistra, non perde occasione
di dimostrare la propria incapacità e l'immobilismo nel gestire la
crisi economica che da troppo tempo attanaglia l'economia italiana
unita a quella del mondo occidentale.
Al di là di
queste “quisquilie” politiche, forse buone per fare ascolti o per
vendere copie di giornali, esiste poi un Paese, l’Italia, che
soffre una crisi non
solo congiunturale (ovvero di breve periodo), ma soprattutto
strutturale; che
perdura da oltre vent’anni e che nessun governo, di alcun colore, è
riuscito a risolvere. Magari la spiegazione è proprio il fatto che
la nostra classe dirigente (le stessa – casualmente? – da oltre
vent’anni) si
perde nelle “quisquilie” di cui sopra, perdendo di vista e
facendo perdere di vista, anche ai media lo sfascio economico del
nostro Paese.
Anche i ministri del welfar ( del benessere) a
quanto risulta abbiano fatto nulla di rilevante, se non dichiarazioni
paradossali circa il mercato del lavoro in Italia. Non c'è dubbio
che il ministero abbia fallito il suo obbiettivo, non mi pare di
vedere tanto benessere in giro se non quello riservato all'alta
burocrazia e alla politica.
Non c'è dubbio che il prodotto
interno lordo italiano, ovvero la misura della
ricchezza del Paese sia in calo vertigginoso sia in termini assoluti
che in termini relativi. In questa sede voglio soffermarmi sul
vicino passato, basandomi su uno studio di BNL su dati ISTAT. Lo
studio dimostra bene che l’Italia
ha subito una crisi congiunturale (2008-2009) di forza pari rispetto
ai Paesi cui ci paragoniamo
(Germania, Francia, Spagna, eccetera).
Il declino non si ferma con i proclami Non credo che
nel 2015 ci sia la ripresa. Nella classifica dei paesi più ricchi al
mondo l'Italia da V° posto si è persa nei meandri della classifica.
La classifica dei paesi più ricchi del mondo
Ecco le prime 10
posizioni (no, non c'è l'Italia)
Come si vede, i paesi fornitori di petrolio sono molto ben rappresentati. L'Italia non c'è nemmeno nei primi 15 posti, mentre c'è l'Irlanda, 13esima.
Gli ottimisti dicono per ritornare ad essere
ricchi come nel 2008 di questo passo dovremo aspettare il 2015.
“Aspetta e spera”.
La fine delle ideologie, il passaggio dall’homo
politicus, all’homo oeconomicus, relega le società contemporanee
nell’ambito di modelli esistenziali votati pressocchè alla
massimizzazione dei profitti a discapito di chiunque possa in qualche
modo opporvisi. Questi modelli comportamentali hanno come fine la
dittatura dei capitali, masse enormi di ricchezze, assolutamente
libere nel perseguire in tutte le maniere, modi e misure fini che
hanno lo scopo principale l’accentramento del potere e quindi anche
delle decisioni, in capo a pochi uomini e/o organizzazioni.
Tutto quello che gli stati nazionali, avevano costruito dal dopoguerra ad oggi, la crisi economica, dettata da un sistema finanziario truffaldino, impone un’opera di razionalizzazione dell’apparato produttivo.
In Italia il processo di deindustrializzazione, è ormai in atto da diverso tempo, il via lo diede Romano Prodi con il consenso di tutta la classe politica e sindacale. Lo smembramento dell’IRI; da quel momento in poi la spina dorsale dell’apparato industriale italiano è soggetta a operazioni di dismissioni, acquisizioni, fallimenti.
Tutto quello che gli stati nazionali, avevano costruito dal dopoguerra ad oggi, la crisi economica, dettata da un sistema finanziario truffaldino, impone un’opera di razionalizzazione dell’apparato produttivo.
In Italia il processo di deindustrializzazione, è ormai in atto da diverso tempo, il via lo diede Romano Prodi con il consenso di tutta la classe politica e sindacale. Lo smembramento dell’IRI; da quel momento in poi la spina dorsale dell’apparato industriale italiano è soggetta a operazioni di dismissioni, acquisizioni, fallimenti.
Aziende dell’importanza non solo economica, ma
anche strategica come la Olivetti – elettronica e informatica-,
Montedison –chimica-, ILVA di Taranto –acciaio-, Richard Ginori,
non esistono più o sono in forte crisi, le acciaierie Lucchini spa
sono passate ai russi di Severstal, il colosso italiano dell’energia
Edison è passato, grazie a un’OPA, a Transalpina di energia,
società controllata pariteticamente dal gruppo francese Edf , altre
aziende tipo Galbani, Invernizzi, Parmalat acquisite dalla francese
Lactalis, altre tipo Buitoni, Motta, Valle degli orti, Perugina,
rilevate dalla Svizzera Nestlè, L’Algida, Bertolli, Santa Rosa
acquisite dalla Unilever, Ducati nelle mani della Volkswagen AG, la
stessa fine hanno fatto marchi storici tipo , Pucci, Bulgari,
Valentino, Ferrè, Gucci, altre aziende tipo FIAT, Candy ed
Electrolux, Bialetti, laOmsa, Geox, Benetton, Stefanel,
delocalizzano
Ora il mio non è un sussulto di nazionalismo, ma vorrei far presente che in altre nazioni tipo Inghilterra con la Golden share e in Francia con l’Action specific, gli stati nazionali, hanno la possibilità di opporsi all’acquisizione da parte di aziende estere di settori ritenuti di importanza stategica nazionale (?!)
Ora il mio non è un sussulto di nazionalismo, ma vorrei far presente che in altre nazioni tipo Inghilterra con la Golden share e in Francia con l’Action specific, gli stati nazionali, hanno la possibilità di opporsi all’acquisizione da parte di aziende estere di settori ritenuti di importanza stategica nazionale (?!)
Mi chiedo, come un Paese come l’Italia di
trasformazione della materia, possa affrontare le sfide del prossimo
millennio senza l’esistenza di settori così importanti, ci
vorrebbero relegare al paesello di provincia tutta pizza e mandolini
e magari qualche fetta di formaggio, un po' di turismo e il piatto
è servito?!
La struttura economica di un Paese è fatta di
aziende grandi e una miriade di aziende medio-piccole che coadiuvate
da un sistema finanziario sano concorrono al miglioramento della
società nella quale sono integrate, venendo a mancare a queste
qualsiasi potere decisionale si rischia, vedi il caso Bridgestone di
Bari, ma i casi sono tanti altri, che tali aziende chiudono, anche se
sono con un bilancio in attivo, efficienti da un punto di vista
aziendale, efficaci da un punto di vista produttivo e culturale.
Dunque?
Chi quel “chiromante” che con la palla di
cristallo tanto da "vedere" la ripresa nel 2015?
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