La Commissione UE boccia l'intesa
sul “made in” Europa e “made in” Italy “ritenendola
obsoleta sui Marchi”
di Paolo Pellicciari
Dopo anni di colloqui, convegni, missioni, articoli
sui giornali, in Italia e all'estero oltre a notevoli investimenti,
per difendere la qualità italiana da una concorrenza planetaria
spesso sleale. E stato tutto inutile, la Commissione Ue ha messo la
parola fine alla proposta al regolamento n. 611 del 2005, che
riguardava il «Made in». La proposta aveva l'obbiettivo di imporre
l’etichettatura di origine, sui prodotti provenienti dai paesi
extra UE.
Tutti i partiti politici di ogni colore, hanno
sempre difeso le nostre aziende facendone una bandiera per
differenziarci da asiatici e americani. «Obsoleto», hanno decretato
invece gli uomini del presidente Barroso. Così d’ora in poi, salvo
miracoli, non se ne parlerà più.
La “bocciatura” non è stata ancora annunciata
formalmente. Martedì, a Strasburgo, il numero uno dell’esecutivo
comunitario, ha presentato il suo Programma per il 2013. Nel secondo
allegato, venti pagine di tabelle, sono elencate le proposte che
Bruxelles intende mettere sul tavolo e quelle che ritiene di non
dover più portare avanti. Alla penultima nota dell’ultima pagina,
appare il regolamento 611. Cassato. Uno dei quattordici testi che la
Commissione vuole ritirare. «Oltre alla mancanza di accordo in
Consiglio - si spiega -, recenti sviluppi nell’interpretazione
legale delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio
hanno reso la proposta non attuale». “Chiuso l'Argomento!
Di recente, la Confindustria era “all'attacco”.
I più informati parlano di una lettera del presidente Giorgio
Squinzi indirizzata a Palazzo Berlaymont per sollecitare
un’accelerazione dell’iter purtroppo senza esito. In effetti,
l'iter si è interrotto da che l’Europarlamento ha approvato il
testo nell’ottobre 2010 ritenendo il marchio di origine una
condizione necessaria «per dare maggiore tutela ai consumatori e
consentire alle imprese di affrontare ad armi pari i concorrenti».
Un buon segnale. C’era anche l’appoggio di Francia, Polonia e
Spagna. Eppure per i governi tedeschi, scandinavi, britannici e
olandesi, la norma era un inaccettabile pugno nell’occhio del
libero scambio. Inutili i tentativi di pressione di quello che, a
Bruxelles, erano noto come «Il Cartello del “Made In”». Si
ricorda una missione a Strasburgo di Emma Bonino, allora ministro
degli Affari Ue (settembre 2007), occasione in cui furono distribuiti
degli ombrelli blu pro etichettatura, metafora della necessità di
pararsi la testa (erano cinesi, incidentalmente).
E anche ripetuti viaggi della coppia Urso-Ronchi,
rispettivamente titolare del Commercio Estero e delle politiche Ue
nel governo Berlusconi, impegnati a definire «inaccettabili i
ritardi» e premere sui colleghi del Consiglio. Il sistema di Camere
e imprese ha varato iniziative parallele, col sostegno dell’Ice.
Due budget grosso modo da 500 mila euro l’uno. «Al netto delle
spese per le persone, i viaggi e tutto il resto», Un milione e passa
sempre secondo i ben informati. La notizia era nell’aria, conferma
l’eurodeputato Gianluca Susta, che la definisce «assurda e
affrettata». Passo «ingiustificabile senza nemmeno un passaggio
preliminare col Parlamento», aggiunge Niccolò Rinaldi (Idv). In
primavera i nostri eurodeputati avevano parlato di «provvedimento
insabbiato».
Il premier Mario Monti è stato informato giovedì
poco prima del vertice Ue. Si racconta che il professore abbia
incaricato i suoi collaboratori di suggerire agli industriali di
rinunciare all’ambito “osso”. Nei taccuini è rimasta anche una
battuta tagliente. «Citando Squinzi - avrebbe scherzato il premier -
potremmo dire che si trattava di una boiata». Come mettere lo
zucchero su una pillola amara.
25/10/2012
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