di Paolo
Pellicciari
Negli anni immediatamente
successivi al Concilio, ci sono stati anni difficili per la chiesa,
Papa Paolo VI e i suoi successori dovettero infatti fare i conti con
una profonda emorragia di sacerdoti e religiosi che interpretarono
l'attenzione al mondo in maniera diversa dall'effettiva dottrina
cattolica. Prese forza il movimento dei preti operai, già attivo dal
secondo dopo guerra in Francia, ma che dopo il Concilio trovò nuovo
vigore grazie anche all'approvazione da parte dello stesso Paolo VI
di tale pratica, precedentemente ritenuta illegittima da Pio XII e da
Giovanni XXIII. Nacquero le “Comunità Cristiane di Base” le
quali, soprattutto in Sudamerica, testimoniando la vitalità delle
Chiese locali, assunsero una dimensione assai rilevante che dura
ancora oggi. Sempre in America Latina, molti teologi seguaci della
teologia della liberazione abbracciarono la lotta di classe marxista.
Da parte opposta, Monsignor Lefebvre, rifiutò invece la riforma
della liturgia ed altri pronunciamenti di "apertura" del
concilio, tra cui quelli sull'ecumenismo, ponendosi di fatto in una
situazione di rottura con la Chiesa di Roma.
Una prima difficoltà riguardo all'attuazione dei
documenti conciliari fu l'interpretazione del Concilio stesso e dei
suoi documenti. Infatti, Giovanni XXIII aveva indicato come scopo del
Concilio quello di «approfondire ed esporre» la «dottrina certa e
immutabile» della Chiesa, mentre alcuni dei pronunciamenti del
Concilio stesso, sembravano contraddire alcuni elementi della
dottrina tradizionale (soprattutto in merito all'ecumenismo e alla
libertà di coscienza). Per questo, il Concilio fu considerato da
alcuni una vera e propria
rivoluzione della dottrina della Chiesa: sia da parte dei
"progressisti" (che valutavano positivamente l'apertura al
mondo del concilio) sia da parte di alcuni ambienti tradizionalisti
(che al contrario erano fortemente critici verso questi
pronunciamenti di apertura).
La questione della corretta interpretazione del
Vaticano II è stata così affrontata a lungo da storici e teologi,
facendo emergere due "interpretazioni" prevalenti:
l'interpretazione della continuità, secondo la quale, il Concilio va
interpretato alla luce del magistero della Chiesa, precedente e
successivo al Concilio e l'interpretazione della discontinuità, che
attribuisce al Concilio un valore in quanto evento cruciale, di
rottura con il depositum Fidei tradizionale. La prima linea
interpretativa è stata sostenuta da tutti i Papi da Paolo VI. Il suo
successore Papa Giovanni Paolo I° in una delle sue udienze generali
si schierò contro la Proprietà Privata, Testuale:” La
proprietà privata per nessuno è un diritto inalienabile e assoluto.
Nessuno ha la prerogativa di poter usare esclusivamente dei beni a
suo vantaggio oltre il bisogno, quando ci sono quelli che muoiono per
non avere niente” A seguire anche Papa Giovanni Paolo II
prende le distanze dal modello “liberista” come il suo
successore, Papa Benedetto XVI, seguendo i dettami del Concilio ci
ricorda che “l'essere Umano non può avere più del Necessario,
i Beni allontanano Dio, la Condanna del Consumismo”
L'interpretazione post
conciliari “progressiste” spostano l'asse politico dei cattolici
su posizioni integraliste, La “svolta politica” viene individuata
con le “convergenze parallele” Per distinguere il potere politico
espressione democratica dal totalitarismo comunista. L'espressione è
presente nel linguaggio politico per tutti gli anni 70, quando è
stata frequentemente utilizzata per descrivere il processo di
avvicinamento tra DC e PCI, noto anche come Compromesso Storico. La
“rivoluzione” post conciliare, diede vita ai “moti” del
“1968”.
Subito dopo la
conclusione del concilio, si mise in moto un movimento negli Stati
Uniti raggiungendo l'epilogo con la massima espansione nel 1968,
nell'Europa occidentale con l'apice nel Maggio francese.
Nel campo occidentale
(Europa e Stati Uniti) un vasto schieramento di studenti e operai
presero posizione contro la società dei consumi, che proponeva il
valore del denaro e del mercato nel mondo capitalista come punto
centrale della vita sociale.
Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò
contro la guerra del Vietnam, legandosi alla battaglia per i diritti
civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai
principi della società del capitale, una sorta di controcultura. Al
contempo, alcune popolazioni del blocco orientale si sollevarono per
denunciare la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di
partito, gravissimo problema della Russia che dei paesi ad essa
legati.
In buona parte del mondo, dall'occidente all'est
comunista, la "contestazione generale" ebbe come nemico
comune il principio dell'autorità. Nelle scuole gli studenti
contestavano i pregiudizi dei professori, della cultura ufficiale e
del sistema scolastico classista e obsoleto. Nelle fabbriche gli
operai rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i principi dello
sviluppo capitalistico che mettevano in primo piano il profitto a
scapito dell'elemento umano. Anche la famiglia tradizionale veniva
scossa dal rifiuto dell'autorità dei genitori e del conformismo dei
ruoli. Facevano il loro esordio nuovi movimenti che mettevano in
discussione le discriminazioni in base al sesso (con la nascita del
femminismo e del movimento di liberazione omosessuale e della razza.
Dalla contestazione si
distinse un movimento cattolico detto Comunione e Liberazione,
ispirato dal “titolo” di un volantino diffuso da alcuni
universitari nel 1969. in polemica col mondo culturale del tempo:
mentre la cultura di sinistra, dichiarava che la rivoluzione
era il cammino della liberazione dell'uomo, i sostenitori del
movimento affermavano invece che tale cammino era possibile solo
nella comunione cristiana, con cui sarebbe possibile la vera
liberazione.
Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la
riorganizzazione della società sulla base del principio di
uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della
partecipazione di tutti alle decisioni, l'eliminazione di ogni forma
di oppressione sociale e di discriminazione razziale e l' abolizione
della guerra come forma di relazione tra gli stati, dando inizio alla
“globalizzazione” della contestazione, di cui gli effetti sono
evidenti ancora oggi
Nel processo di
contestazione “globale” non si può non evidenziare il
“controsenso filosofico” esercitato dei due blocchi “Occidentale
e Orientale” con modelli di società “contrapposti”. Mentre la
contestazione nei paesi dell'est erano mirate alla “libertà” dai
regimo oppressivi. Mentre nei paesi occidentali si contestava il
sistema capitalistico. Conclusione oggi siamo governati dallo
“speculazionismo” una sorta di “Stalinismo” economico.
Charles Wright Milles sociologo americano, che nel
1960 coniò il termine “Nuova Sinistra” che influenzò i
movimenti giovanili dell'epoca vari e molteplici, con l'obbiettivo di
alimentare le lotte dei popoli del terzo mondo in virtù delle
rivoluzioni del mondo arabo, dell'Asia e dell'America Latina, mentre
l'Unione Sovietica insieme con gli Usa con ordinamenti da abbattere.
La Nuova Sinistra, non era convinta e rifiutava la
sinistra tradizionale, secondo cui l'evoluzione era a favore
dell'emancipazione del proletariato e dei popoli oppressi. Il timore
di un dominio “Capitalista” che coinvolgesse la classe proletaria
dei paesi avanzati nello sfruttamento del proletariato dei popoli del
terzo mondo. Sopprimendo il dissenso e la libertà personale rendendo
la ribellione una necessità e un azione politica.
Nel corso degli anni sessanta, mentre negli Usa il
movimento per i diritti civili prima e l'opposizione studentesca alla
guerra del Vietnam poi facevano delle organizzazioni come la Sds
(Student for democratic society), una forza politica di grande peso,
o il PFP (Peace and Freedom Party), in Europa il movimento della
"nuova sinistra" toccava un'area minoritaria ma crescente.
Le agitazioni promosse dai movimenti giovanili si
diffusero in vaste aree del pianeta tra la fine del 1967 e l'autunno
del 1968. Francia, Cecoslovacchia e Germania Occidentale furono
attraversate da crisi politiche di vasta portata; in Polonia questo
periodo segnò l'inizio di movimenti destinati a svilupparsi
ulteriormente in seguito.
Con il termine internazionalismo, entrato in
uso dal XIX secolo, si possono intendere concetti differenti, sempre
nell'ambito del superamento di certi "confini" tra le
nazioni, siano essi di ordine politico, militare, economico o
territoriale.
L'interenazionalismo socialista o proletario è una
teoria poggiante sulle basi del socialismo utopistico ed evolutasi
successivamente sulle parole d'ordine del manifesto del Partito
Comunista di Karl Marx e di Friedrich Engels edito nel 1848, il cui
concetto base consiste nel fatto che i membri della classe operaia
debbano agire in solidarietà verso la rivoluzione globale e in
supporto dei lavoratori degli altri paesi, piuttosto che seguire un
percorso nazionale. L'internazionalismo proletario è riassunto nello
slogan: Proletari di tutti i paesi, unitevi!, l'ultima riga de
Il Manifesto del Partito Comunista. L'internazionalismo
proletario è considerato un deterrente contro la guerre tra nazioni,
poiché non è nell'interesse delle persone di classe proletaria
imbracciare le armi tra loro, invece è più utile che lo facciano
contro la borghesia che il marxismo afferma opprima i lavoratori.
Mediante la solidarietà fra i proletari di tutte le nazioni si potrà
arrivare alla fine dei conflitti fra nazioni, e quindi alla scomparsa
delle stesse. Secondo la teoria marxista l'antonimia
dell'internazionalismo proletario è il nazionalismo borghese. In
sintesi l'internazionalismo marxista considera la divisione del mondo
in classi, e nazioni e religioni un ostacolo allo sviluppo della
civiltà umana. L'internazionalismo entrerà a far parte di molte
teorie comuniste poggianti su base socialista, così come
nell'anarchismo, e varrà in termini pratici osteggiato dalle teorie
del socialismo, come nello stalinismo, in qualche modo di stampo
“internazionalista”. Nella vita di tutti i giorni?
Diceva
Stalin “ i miei genitori non avevano molta cultura, ma
fecero molto per me” E
ancora: i tuoi genitori ti picchiavano? “Assolutamente
no.” I miei genitori non mi maltrattavano affatto. Se sono
diventato rivoluzionario è soltanto perché ho constatato che i
marxisti avevano ragione”.
Il
2 settembre 1894, Stalin iniziò i suoi studi come allievo a convitto
del seminario russo di teologia ortodossa di Tiflis, che ara allora,
l'istituto superiore più importante della Georgia. L'istituto era
tenuto dai Gesuiti con ferrea disciplina. Stalin stesso rilevò
nell'intervista a Ludwing, come il seminario fosse diretto con
sistemi gesuitici da un “regime vergognoso”. Il loro sistema base
– affermò – nell'indagare, nello spiare, nell'entrare
strisciando come vermi nelle anime della gente e offendere i
sentimenti. Che bene può venire da questo? Per esempio, lo spiare
nel dormitorio. Suona la campana per il the del mattino, andavamo al
refettorio e quando tornavamo nelle nostre stanze scopriamo che nel
frattempo è stata fatta una perquisizione e tutti i nostri cassetti
erano stati frugati.
Tutta l'organizzazione e la direzione
della scuola aveva una gestione fortemente autoritaria, basate
interamente alla sorveglianza “poliziesca” e sulla repressione in
costante clima di delazione e di sospetto, ci trattavano come bestie.
Chi contravveniva a quest'ignobile regolamento, erano pronte sanzioni
di vario tipo: dalle “note disciplinari”, fino all'isolamento,
più o meno lungo, in una “cella monastica” di punizione. Oltre a
ciò vanno aggiunte le continue perquisizioni personali e la scarsità
di vitto, i locali freddi privi di stufe, con dormitori affollati
dove venivano stipate circa una trentina di persone. Questo è il
quadro delle pessime condizioni di vita degli allievi del seminario
di Tiflis.
Lo
“stalinismo”, un esempio su tutti.
"Il
padre di Stalin, era un calzolaio, proprietario di un piccolo
laboratorio che, non più in grado di far fronte alla concorrenza dei
grossi fabbricanti, di scarpe. Chiude bottega e prende lavoro, nella
fabbrica di scarpe Adelkhanov, a Tiflis. È andato a lavorare nello
stabilimento, non con l'intenzione di diventare un salariato
permanente, ma con lo scopo di mettere da parte un po' di denaro,
accumulando risparmi che lo mettesse in grado di riaprire la propria
bottega. Come vedete, la posizione di questo calzolaio, è già
proletaria, ma la sua coscienza è ancora non-proletaria, anzi, è
interamente piccolo-borghese. In altre parole, questo calzolaio ha
già perduto la sua posizione piccolo-borghese, ma non è ancora
venuta meno in lui, la coscienza piccolo-borghese, che si attarda a
prendere cognizione della sua nuova posizione “sociale”
Faccio
fatica, a non individuare la stessa esperienza ai giorno d'oggi nel
mondo occidentale, ma con una differenza, mentre il padre di Stalin,
dopo la chiusura della sua bottega, trova lavoro in una fabbrica di
scarpe, un artigiano o un piccolo imprenditore nel mondo occidentale
chiude bottega e si trova “all'improvviso” disoccupato.
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