domenica 20 novembre 2016

IL "TERZO REICH" FINIRA' IL CETO MEDIO

L'Impoverimento della piccola imprenditoria porterà alla catastrofe economica.

È finita un'era. Ne inizia un'altra. La prima “era” ha segnato la società e l'economia, quindi, anche la politica. Nella seconda era si avvia “l'eccidio” economico del ceto medio, che hanno marcato la crescita del Paese, fin dopo gli anni Ottanta. Lo sviluppo economico cambiò geografia e localizzazione produttiva.
Dalle grandi fabbriche delle metropoli del Nord si è spostato nelle piccole aziende del Nordest - e dell'Italia centrale. Gli anni Novanta, aveva definito questa tendenza: "cetomedizzazione". Un processo antropologico, oltre (e più) che socioeconomico. Ciò si spiega attraverso "l'innalzamento di coloro i quali erano alla base della piramide e lo scivolamento di una parte della vecchia microeconomia.
In altri termini, a partire dagli anni Ottanta, si è assistito al declino della borghesia urbana e industriale, tradizionalmente debole. E al parallelo affermarsi di una piccola borghesia, diffusa nel mondo delle piccole imprese e del lavoro autonomo. Educata ai valori della competizione individuale o, meglio ancora, dell'individualismo possessivo, per citare “Macpherson”. Detta realtà socio-economica si è trovata, a lungo, sprovvista di rappresentanza. Non gliela potevano, certamente, dare i partiti di massa della Prima Repubblica, DC e PCI. Integrati nello Stato e nel sistema pubblico. Nelle reti comunitarie del territorio nel sistema assistenziale.
La "cetomedizzazione" ha, invece, trovato risposta dapprima nella Lega Nord, nata e cresciuta, appunto, lungo la linea pedemontana, dove, fin dagli anni Ottanta, si è affermato lo sviluppo di piccola impresa. Nel contesto emerge, Silvio Berlusconi che ha offerto ai ceti-medi il volto, il linguaggio e Identità. Berlusconi: l'Imprenditore in politica. Che fa politica. Al posto dei politici di professione. Contro di loro, trasforma la politica in marketing. Il partito in impresa. La propria impresa in partito. Berlusconi: ha dato rappresentanza alla neo-borghesia, con basi e radici nel Lombardo-Veneto. Condividendo la "missione" della Lega. Mentre gran parte degli italiani confluiva nell'ampio e indistinto bacino dei "ceti medi". Ancora nel 2006 quasi il 60% della popolazione (indagine Demos-Coop) si auto-collocava tra i ceti medi.
Poi è arrivata la crisi. Economica e politica. Ha scosso, con violenza, le basi del ceto medio. Ne ha indebolito la condizione e, al tempo stesso, il sentimento, l'auto-considerazione. Ne ha accentuato il senso di vulnerabilità. Anche e forse soprattutto per questo motivo Obama ha promosso il suo piano di incentivi all'occupazione e all'economia. Tra cui l'innalzamento delle retribuzioni minime di alcune categorie di dipendenti federali. Per alimentare i consumi, ma anche per contrastare il senso di deprivazione relativa che spinge verso il basso le aspettative di mobilità sociale.
L'ascensore economico, in pochi anni, si è inceppato. E oggi la maggioranza assoluta degli italiani ritiene di essere discesa ai piani più bassi della gerarchia sociale (Sondaggio Demos-Fond. Unipolis). Coloro che si sentono "ceti medi" sono, infatti, una minoranza, per quanto ampia. Poco più del 40%. Così, l'Italia non è più “cetomedizzata” e un Paese dove le distanze sociali appaiono in rapida crescita. Tanto che l'85% della popolazione (sondaggio Demos-Fond. Unipolis) oggi ritiene che "le differenze fra chi ha poco e molto siano aumentate" a causa della centralizzazione dell'economia.
Il declino dell'Italia media e “cetomedizzata” segna il brusco risveglio dal "sogno italiano" interpretato dal berlusconismo. Poter diventare tutti padroni (almeno, di se stessi). Ciascuno nel proprio piccolo (o nel proprio grande). Mentre le questioni territoriali sembrano svanire, Si sente parlare sempre meno della Questione Settentrionale, ma anche di quella Meridionale. Così, per la prima volta nella storia della Repubblica, si afferma una forza politica, i cui consensi sono distribuiti in modo omogeneo in tutto il territorio italiano. Alimentati e unificati dalla sfiducia verso lo Stato e verso la politica. E dalla delusione sociale. Non è un caso che, tra le principali forze politiche, il M5s sia quella dove si osserva la maggiore quota di elettori che si identificano con i ceti più bassi (quasi il 60%) e, per contro, la minore quota di chi si sente ceto medio (39%).
Il declino del ceto medio lascia un Paese senza sogni, incapace di sognare. Dove le distanze sociali hanno ripreso a crescere, mentre il territorio affonda nelle nebbie. Soprattutto il Nordest, capitale della “neoborghesia” autonoma.
Il declino del ceto medio, in Italia, definisce - e impone - una questione "nazionale" che nessuna riforma elettorale potrà risolvere.
Alla letteratura socioeconomica internazionale si è ormai diffuso lo scenario di declino/crisi dei ceti medi: un bel guaio, dato che, da Aristotele in poi, si è condivisa l’idea che «la comunità politica migliore è formata dai cittadini delle classi medie. Il declino e poi l’aperta crisi hanno conosciuto tempi diversi tra i paesi. Negli Usa i mr. Smith sono già sotto pressione dagli anni Novanta, tanto che Krugman, nel 2003, scrisse “Requiem per la gloriosa classe media”.
Quello che prima andava bene per quel lavoro routinario nella società tecnologica non va più bene: un guaio quasi esistenziale, irreversibile, che non puoi certo tamponare con gli 80 euro o con l'abolizione dell'IMU. Anche perché si aggiunge ad altri guai che il Sig. “Rossi” ha attraversato con il sistema creditizio prima nella veste di micro imprenditore in sofferenza e, poi, come piccolo risparmiatore punito dalla privatizzazione del rischio bancario. Il governo Renzi altro non poteva fare che dare il colpo di grazia organizzando un “esercito” di “SS fiscali”, addirittura mettendo al microscopio i conti correnti delle partite IVA da tempo alla canna del gas.
Il lungo addio dell'Occidente alla propria tradizione industriale, coincide con il crepuscolo del consumatore borghese, stretto nella morsa della globalizzazione e scosso dalla rivoluzione «democratica» nei nuovi consumi di massa. Una realtà caratterizzata da un'equazione sociale altrettanto originale: piú consumi, piú squilibri. Per le imprese - sempre piú attratte dall'Asia, dove stanno crescendo miliardi di nuovi capitalisti - è un'occasione per rigenerare la presenza sui mercati occidentali. Per la politica è una sfida formidabile: entra in crisi la logica fondante del modello europeo e con essa l'organizzazione storica del welfare. L'Italia, vittima delle sue contraddizioni storiche, non riesce a reagire e a riorganizzarsi: la sua originalità produce valore altrove e il suo modo di vivere diventa impresa ovunque tranne che in patria. Il governo del mondo senza ceti medi richiede visioni limpide e una leadership politica determinata, pronta a rischiare. L'Europa appare in affanno, ma la sua cultura umanistica è l'unica in grado di attenuare la spinta al consumismo estremo della società low cost. A dare pensiero, non c'è, dunque, solo la faglia della disuguaglianza socio-economica che spacca a metà i ceti medi, ma c'è anche una percezione di appartenenza - termometro dell'emotività sociale - che indica delusione. Ingannati nelle tradizionali speranze, i ceti medi di oggi hanno più difficoltà forse a sbarazzarsi del proprio glorioso fantasma che a risolvere il loro status di reale deprivatizzazione. 

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