L'Impoverimento della piccola imprenditoria porterà alla catastrofe economica.
È
finita un'era. Ne inizia un'altra. La prima “era” ha segnato la
società e l'economia, quindi, anche la politica. Nella seconda era
si avvia “l'eccidio” economico del ceto medio, che hanno marcato
la crescita del Paese, fin dopo gli anni Ottanta. Lo sviluppo
economico cambiò geografia e localizzazione produttiva.
Dalle
grandi fabbriche delle metropoli del Nord si è spostato nelle
piccole aziende del Nordest - e dell'Italia centrale. Gli anni
Novanta, aveva definito questa tendenza: "cetomedizzazione".
Un processo antropologico, oltre (e più) che socioeconomico. Ciò si
spiega attraverso "l'innalzamento di coloro i quali erano alla
base della piramide e lo scivolamento di una parte della vecchia
microeconomia.
In
altri termini, a partire dagli anni Ottanta, si è assistito al
declino della borghesia urbana e industriale, tradizionalmente
debole. E al parallelo affermarsi di una piccola borghesia, diffusa
nel mondo delle piccole imprese e del lavoro autonomo. Educata ai
valori della competizione individuale o, meglio ancora,
dell'individualismo possessivo, per citare “Macpherson”. Detta
realtà socio-economica si è trovata, a lungo, sprovvista di
rappresentanza. Non gliela potevano, certamente, dare i partiti di
massa della Prima Repubblica, DC e PCI. Integrati nello Stato e nel
sistema pubblico. Nelle reti comunitarie del territorio nel sistema
assistenziale.
La
"cetomedizzazione" ha, invece, trovato risposta dapprima
nella Lega Nord, nata e cresciuta, appunto, lungo la linea
pedemontana, dove, fin dagli anni Ottanta, si è affermato lo
sviluppo di piccola impresa. Nel contesto emerge, Silvio Berlusconi
che ha offerto ai ceti-medi il volto, il linguaggio e Identità.
Berlusconi: l'Imprenditore in politica. Che fa politica. Al posto dei
politici di professione. Contro di loro, trasforma la politica in
marketing. Il partito in impresa. La propria impresa in partito.
Berlusconi: ha dato rappresentanza alla neo-borghesia, con basi e
radici nel Lombardo-Veneto. Condividendo la "missione"
della Lega. Mentre gran parte degli italiani confluiva nell'ampio e
indistinto bacino dei "ceti medi". Ancora nel 2006 quasi il
60% della popolazione (indagine Demos-Coop) si auto-collocava tra i
ceti medi.
Poi
è arrivata la crisi. Economica e politica. Ha scosso, con violenza,
le basi del ceto medio. Ne ha indebolito la condizione e, al tempo
stesso, il sentimento, l'auto-considerazione. Ne ha accentuato il
senso di vulnerabilità. Anche e forse soprattutto per questo motivo
Obama ha promosso il suo piano di incentivi all'occupazione e
all'economia. Tra cui l'innalzamento delle retribuzioni minime di
alcune categorie di dipendenti federali. Per alimentare i consumi, ma
anche per contrastare il senso di deprivazione relativa che spinge
verso il basso le aspettative di mobilità sociale.
L'ascensore
economico, in pochi anni, si è inceppato. E oggi la maggioranza
assoluta degli italiani ritiene di essere discesa ai piani più bassi
della gerarchia sociale (Sondaggio Demos-Fond. Unipolis). Coloro che
si sentono "ceti medi" sono, infatti, una minoranza, per
quanto ampia. Poco più del 40%. Così, l'Italia non è più
“cetomedizzata” e un Paese dove le distanze sociali appaiono in
rapida crescita. Tanto che l'85% della popolazione (sondaggio
Demos-Fond. Unipolis) oggi ritiene che "le differenze fra chi ha
poco e molto siano aumentate" a causa della centralizzazione
dell'economia.
Il
declino dell'Italia media e “cetomedizzata” segna il brusco
risveglio dal "sogno italiano" interpretato dal
berlusconismo. Poter diventare tutti padroni (almeno, di se stessi).
Ciascuno nel proprio piccolo (o nel proprio grande). Mentre le
questioni territoriali sembrano svanire, Si sente parlare sempre meno
della Questione Settentrionale, ma anche di quella Meridionale. Così,
per la prima volta nella storia della Repubblica, si afferma una
forza politica, i cui consensi sono distribuiti in modo omogeneo in
tutto il territorio italiano. Alimentati e unificati dalla sfiducia
verso lo Stato e verso la politica. E dalla delusione sociale. Non è
un caso che, tra le principali forze politiche, il M5s sia quella
dove si osserva la maggiore quota di elettori che si identificano con
i ceti più bassi (quasi
il 60%) e, per contro, la minore quota di chi si sente ceto medio
(39%).
Il
declino del ceto medio lascia un Paese senza sogni, incapace di
sognare. Dove le distanze sociali hanno ripreso a crescere, mentre il
territorio affonda nelle nebbie. Soprattutto il Nordest, capitale
della “neoborghesia” autonoma.
Il
declino del ceto medio, in Italia, definisce - e impone - una
questione "nazionale" che nessuna riforma elettorale potrà
risolvere.
Alla
letteratura socioeconomica internazionale si è ormai diffuso lo
scenario di declino/crisi dei ceti medi: un bel guaio, dato che, da
Aristotele in poi, si è condivisa l’idea che «la comunità
politica migliore è formata dai cittadini delle classi medie. Il
declino e poi l’aperta crisi hanno conosciuto tempi diversi tra i
paesi. Negli Usa i mr. Smith sono già sotto pressione dagli anni
Novanta, tanto che Krugman, nel 2003, scrisse “Requiem per la
gloriosa classe media”.
Quello che
prima andava bene per quel lavoro routinario nella società
tecnologica non va più bene: un guaio quasi esistenziale,
irreversibile, che non puoi certo tamponare con gli 80 euro o con
l'abolizione dell'IMU. Anche perché si aggiunge ad altri guai che il
Sig. “Rossi” ha attraversato con il sistema creditizio prima
nella veste di micro imprenditore in sofferenza e, poi, come piccolo
risparmiatore punito dalla privatizzazione del rischio bancario. Il
governo Renzi altro non poteva fare che dare il colpo di grazia
organizzando un “esercito” di “SS fiscali”, addirittura
mettendo al microscopio i conti correnti delle partite IVA da tempo
alla canna del gas.
Il lungo addio
dell'Occidente alla propria tradizione industriale, coincide con il
crepuscolo del consumatore borghese, stretto nella morsa della
globalizzazione e scosso dalla rivoluzione «democratica» nei nuovi
consumi di massa. Una realtà caratterizzata da un'equazione sociale
altrettanto originale: piú consumi, piú squilibri. Per le imprese -
sempre piú attratte dall'Asia, dove stanno crescendo miliardi di
nuovi capitalisti - è un'occasione per rigenerare la presenza sui
mercati occidentali. Per la politica è una sfida formidabile: entra
in crisi la logica fondante del modello europeo e con essa
l'organizzazione storica del welfare. L'Italia, vittima delle sue
contraddizioni storiche, non riesce a reagire e a riorganizzarsi: la
sua originalità produce valore altrove e il suo modo di vivere
diventa impresa ovunque tranne che in patria. Il governo del mondo
senza ceti medi richiede visioni limpide e una leadership politica
determinata, pronta a rischiare. L'Europa appare in affanno, ma la
sua cultura umanistica è l'unica in grado di attenuare la spinta al
consumismo estremo della società low cost. A dare pensiero, non c'è,
dunque, solo la faglia della disuguaglianza socio-economica che
spacca a metà i ceti medi, ma c'è anche una percezione di
appartenenza - termometro dell'emotività sociale - che indica
delusione. Ingannati nelle tradizionali speranze, i ceti medi di oggi
hanno più difficoltà forse a sbarazzarsi del proprio glorioso
fantasma che a risolvere il loro status di reale deprivatizzazione.
Il declino del ceto medio lascia un Paese senza sogni, incapace di sognare. Dove le distanze sociali hanno ripreso a crescere, mentre il territorio affonda nelle nebbie. Soprattutto il Nordest, capitale della “neoborghesia” autonoma.
Il declino del ceto medio, in Italia, definisce - e impone - una questione "nazionale" che nessuna riforma elettorale potrà risolvere.