L’Europa
è oggi uno dei più grandi importatori di beni agricoli da i Paesi
Terzi. Ciò scaturisce da una serie di importanti decisioni politiche
spesso concomitanti ed interconnesse tra le popolazioni e gli
interessi finanziari.
L’economia
agricola è stata in parte, al centro di cambiamenti che hanno inciso
anche sull’agricoltura modificandone i sistemi produttivi e le
scelte di investimento. Inoltre, l’allargamento dell’Unione
europea, i negoziati della WTO (Organizzazione mondiale per il
commercio), le riforme della Pac (Politica agricola comune) e
la crescente richiesta di fonti energetiche rinnovabili hanno
messo alla prova la capacità di ammortizzare gli effetti della
globalizzazione alimentare.
Il
multinazionalismo latifondista, in questo nuovo sistema produttivo,
il plusvalore ottenuto dal mercato urbano attraverso il settore
commerciale, le esportazioni, l’industria e la finanza sono
investiti, in parte, nell’acquisto di grandi estensioni di
territorio. Perciò i grandi istituti di credito come Bradesco, Itaù,
Bamerindus (al tempo) Safra ecc. si trasformarono in proprietari di
enormi estensioni territoriali, con 200, 300 mila ettari ciascuno.
Anche settori industriali di punta alcuni risiedenti anche Europa
diventarono proprietari di grandi estensione di terreni, al punto,
che secondo i registri statistici dell’INCRA (An Internetional Non
Profit ) le persone giuridiche, ovvero, sia le imprese - in
particolare di origine straniera – risultano essere proprietari in
Brasile di più di 30 milioni di ettari di terra. Così, oltre
all’oligarchia rurale agro esportatrice di origine coloniale, ora
appare allo scenario una borghesia agraria, grande proprietaria
terriera, che mescola i propri interessi nell’agricoltura, nel
commercio, nella finanza e nell’industria. In questa prospettiva il
latifondismo industriale in Brasile non ha nessun interesse a
realizzare la riforma agraria per sviluppare il mercato interno.
Mi
domando: La produzione di cibo attraverso la ‘agricoltura
globalizzata’, i pesticidi, le biotecnologie e l’ingegneria
genetica non dovevano portarci entro breve alla soluzione del
problema della fame? La realtà è molto diversa. Come si intende
affrontare il problema? Il declassamento della dialettica politica
spesso disarticolata e contorta tende a delegare alle "istituzioni
internazionali" o internazionalizzare le problematiche legate
all'agricoltura.
I
“CONTROSENZI” LA PRODUZIONE DI CIBO E’ IN AUMENTO, COME DI
PARIPASSO AUMENTA LA FAME
Nel
mondo occidentale i silos sono stracolmi, le celle frigorifere
traboccano di quantità di carne e di burro, si produce "troppo"
frumento e "troppo" latte, le mucche devono essere
abbattute e la frutta mandata al macero, vedi Conca D'oro, dove la UE
ha autorizzato l'importazione di agrumi dal Nord Africa. Il sistema
globale della Grande Distribuzione si rifornisce nei paesi produttori
con prezzi più vantaggiosi. Come le olive solo perché molite in
Italia si trasformano in olio italiano La scienza e la tecnica
applicate all’agricoltura ed alla zootecnia, fanno passi da
giganti, eppure per l’immenso “Sud del Mondo” ciò comporta
solo impoverimento, denutrizione e crescente dipendenza alimentare.
Mai come oggi, si è assistito ad un “crimine” di tale portata,
per cui, di fronte a tanta reale (ed ancor più potenziale)
abbondanza, quattro quinti dell’umanità sono ricacciati nella più
nera indigenza. Hanno ragione le popolazioni a basso reddito latino
americane, asiatiche ed africane quando con le loro proteste dicono
che la fame non è generata dalla penuria di prodotti agricoli o
dalla scarsezza di terra e di mezzi esistenti, ma dalla loro
distribuzione e dal loro utilizzo. Da qui l'esodo incontrollato di
diverse etnie verso l'occidente.
Secoli
di continua e crescente “rapina” coloniale e neo colonialismo,
hanno portato alla concentrazione di tutte le risorse produttive
(alimentari e non) nelle mani delle multinazionali statunitensi ed
europee sostenute dal sistema bancario. La globalizzazione
latifondista, figlia ed erede legittima proprio di questi processi,
tanto da accelerarli, estende, approfondisce ed intensifica a livelli
assolutamente sconosciuti prima. Ogni anno milioni di lavoratori
delle campagne vengono sradicati a viva forza, espropriati ed
allontanati dai loro appezzamenti e gettati nell’inferno delle
baraccopoli o costretti ad emigrare qui in Occidente dove ad
attenderli trovano razzismo, altro sfruttamento ed altra oppressione.
Il
multinazionalismo latifondista, in perfetta alleanza e simbiosi, è
vivo e vegeto più che mai ed i contadini vengono sempre più
sottomessi dalle necessità dei "sistemi finanziari mondiali”
e trasformati progressivamente in precarissimi salariati agricoli. La
produzione di alimenti, al pari di ogni altro tipo di produzione,
viene totalmente finalizzata alle necessità di profitto e di mercato
dal multinazionalismo latifondista e della finanza bancaria
internazionale.
L'India
ha seguito tutti i colori delle rivoluzioni agricole: quella "verde"
del produttivismo, quella "bianca" per la produzione del
latte, quella "gialla" per lo sviluppo dell'industria degli
oli da seme, molto recentemente. Malgrado l'India abbia dichiarato
una politica di sviluppo rivolta all'interno, le politiche liberiste
in campo agricolo approntate già agli inizi degli anni '90 hanno
consentito un raddoppio delle esportazioni agricole, con una presenza
rimarchevole dei cereali che rappresentano quasi il 45% di tutte le
esportazioni agricole.
Le
importazioni alimentari, però sono aumentate del 168%. L'impatto di
queste cifre sulla povertà può essere così riassunto: negli anni
'80 la povertà tendeva a diminuire, successivamente grazie a
vigorose politiche di liberalizzazione – la povertà ha avuto un
tendenza visibile alla crescita.
Anche
gli agricoltori e gli allevatori europei sono sempre più colpiti e
costretti a fare i conti con i diktat che il grande capitale emanato
attraverso le sue istituzioni "multinazionali" e si vedono
sempre ridotti a semplici e totalmente subalterne appendici della
grande finanza, come hanno dimostrato le stesse lotte dei produttori
di latte degli scorsi anni, e di recente a Milano. E questa stessa
lotta non porta forse in se la critica all’assurdità di un sistema
che per "ragioni di mercato" impone la distruzione del
latte a fronte di centinaia di milioni di esseri umani che il latte
non ne hanno neanche una goccia?
Enormi
finanziamenti pubblici (gli USA prevedono di stanziare centinaia di
miliardi di dollari in "sussidio" all’agricoltura nei
prossimi dieci anni) alla propria grande industria agro-alimentare,
protezionismo e dumping: il dominio alimentare di un pugno di “Global
Company” sull’intera umanità è accompagnato, promosso e
tutelato dall’apparato burocratico militare dell’occidente, e
dove non si arriva con le "misure economiche" è pronto ad
intervenire con la forza. I milioni e milioni di esseri umani morti
ogni anno per fame sono l’altro aspetto, l’altra faccia di quella
stessa guerra che il “multinazionalismo latifondista” conduce
contro i popoli in nome del Dio Denaro e dell'”Apostolo Mercato”
che osano opporre resistenza alla rapina di ogni loro risorsa frutto
del lavoro.
Se
il WTO, il FMI, la Banca Mondiale e tanti altri organismi in via di
operatività, vengono individuati come i principali responsabili
della crescente miseria in cui sono sospinti interi continenti, la
FAO - dai movimenti e da quanti si vogliono battere contro l’attuale
stato delle cose - viene vista come un qualcosa di "diverso",
come un organismo con cui dialogare e su cui fare pressione affinché
eserciti realmente le sue "funzioni istituzionali" e
contribuisca per tal via ad alleviare le sofferenze alimentari
dell’umanità.
Ma
confidare nella FAO per combattere la fame è come confidare nell’ONU
per fermare le guerre. Come quest’ultimo, si è sempre distinto per
aver quantomeno supportato le aggressioni occidentali, così allo
stesso modo l’azione della FAO, in tutti questi anni, non solo si è
dimostrata "inefficace", ma, alla lunga, ha favorito
l’indebolimento delle produzioni agricole del Sud del mondo a tutto
vantaggio delle varie Multinazionali Latifondiste.
La
FAO non è dunque un’istituzione "alternativa", ma una
semplice parte dello stesso sistema che domina il mondo e il cui
centro risiede nei consigli d’amministrazione delle multinazionali
occidentali dell’agroalimentare.
Secondo
il punto di vista di chi scrive, ogni popolo ha il diritto e il
dovere di applicare politiche agricole nazionali che assicurino gli
alimenti necessari alla propria autonomia alimentare. Il commercio
agricolo non deve continuare ad essere subordinato agli interessi
delle grandi imprese e alla loro esigenza di ottenere alti margini di
guadagno. Di certo andrebbero rivisti tutti gli accordi
“multinazionalistici” ratificati dai governi aderenti,
riconducendo il sistema bancario nei propri ambiti istituzionali
finalizzati al sostegno e al finanziamento delle innovazioni per lo
sviluppo compatibile con le esigenze del territorio. Non c'è
dubbio che il sistema “Multinazionalistico Latifondista” ha
fallito. Incrementando l'agricoltura di “presso” per ottenere
prodotti controllati e certificati.
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