venerdì 30 gennaio 2009

QUALI PROSPETTIVE PER IL VINO ITALIANO?

(www.enopress.it). Dal progetto Winefood al GIV - Riunite - CIV - Un colosso da 450 milioni di curo di fatturato - Rivoluzione al Gruppo Italiano Vini il controllo passa a "Riunite & Civ" - Dopo la fusione a settembre, le due cooperative emiliane hanno rilevato le quote degli altri soci, divenendo azionista unico. Annunciata l'acquisizione del marchio Bolla dall'americana Brown Forman - "A seguito della fusione, infatti, il Giv scarl, cooperativa che a sua volta deteneva il pacchetto societario di Giv spa, si è trovato per la prima volta nella sua storia con un socio di maggioranza, con il 66,5 % delle azioni. A questo punto, secondo il racconto de Il Corriere Vinicolo a firma di Carlo Flamini , gli emiliani hanno lanciato un'offerta d'acquisto quote ai soci residuali Cevico, Chiantigiane, Soave e Mezzocorona. Una volta acquisita la quasi totalità di Giv scarl, hanno dato il via a un nuovo progetto di fusione completatosi a fine 2008 con Coltiva e Righi e dal 1° gennaio 2009, inglobandovi la stessa Giv scarl, hanno formato un nuovo gruppo, denominato "Riunite & Civ", che con il 99,99% controlla il Giv spa.
La nuova struttura, illustrata alla stampa dal management del gruppo - Emilio Pedron, a.d. del Giv, Vanis Bruni, neopresidente del Giv e vicepresidente di Riunite & Civ, e Corrado Casoli, presidente della Riunite & Civ - avrà un fatturato di oltre 450 milioni di curo: 300 quelli del Giv, stabili rispetto al 2007, e 150 Riunite & Civ, +5%.

Una storia di viticoltori coraggiosi, aziende di prestigio e capitali svizzeri
Dopo la distruzione causata dal II° Conflitto Mondiale, gli Italiani hanno dimostrato grande coraggio ardore creativo e spirito di iniziativa che ha caratterizzato anche la nostra viticoltura, innovando, qualificando prodotti tanto da competere con i vini francesi. Si apre il mercato occidentale ai nostri Vini moigliori fino ad allora confinati per lo più nel territorio italiano. Solo pochi vini sia per ragioni geografiche o per fama erano conosciuti oltre confine al contrario dei vini francesi già conosciuti oltre oceano complice la fama dei loro luoghi turistici.

A fatica, i vini italiani si sono ritagliati una quota di mercato con una qualità di rilievo che in alcuni casi metteva in discussione il prestigio dei vini francesi.
Una rosa di Vini di prestigio, richiamano l'attenzione del Credito Svizzero all'epoca "cassaforte" della Nestlè che tramite la Winefood diretta dal Dott. Alberto De Marchi acquista le aziende di maggior fama, al fine di portare la qualità vinicola italiana alla distribuzione americana.

Alberto De Marchi ha operato mantenendo, se non migliorando la qualità dei vini delle aziende da lui controllate. Ho avuto il piacere di conoscerlo, persona sensibilissima, manager di primo livello, contornato da personalità di rilievo, ne cito un paio su tutte Casarini che diventa presidente del Consorzio Tutela del Frascati, Giacinto Giacomini diventato "pezzo grosso" della CAVIT e tanti altri parimenti meritevoli che non sto ad elencare per ragioni di spazio. Non dimentico le vacanze ad Albarella, dove il primo di agosto si festeggiavano gli Svizzeri con le tavole imbandite con i vini del "gruppo" per valutare e i miglioramenti qualitativi delle varie aziende.
Ad Albarella, si degustavano vini prossimi alla produzione tra gli altri si da il via alla produzione del Turà, un vino frizzante prodotto per il mercato americano abituato alla Coca Cola e poterlo avvicinare al gusto del vino. Un'operazione lungimirante ed intelligente che diede i suoi buoni frutti.

La qualità dei vini consentiva un prezzo di vendita adeguato con la conseguente soddisfazione per i viticoltori conferenti. Ogni medaglia ha il suo rovescio. Il rovescio è rappresentato dal vergognoso aspetto speculativo innescato sull'onda del successo del progetto Winefood. Imprenditori senza scrupoli, hanno operato declassando prodotti di "rango" con vini artefatti a costo "zero" solo a fini speculativi. Quanti scandali abbiamo dovuto subire con danni enormi a tutto il comparto vinicolo italiano che evito dal ricordare per amor patrio.

La Winefood prima "Contea" vinicola italiana
Raggruppando un notevole numero di aziende, tanto da formare un gruppo di rilevanza nazionale, il progetto Winefood non passa inosservato alla grande distribuzione italiana facente capo ad un'area politica ben connotata.
Con la G.I.V. acquista le aziende del gruppo Winefood, uscita malconcia dalla crrisi finanziaria degli anni '70 e inizia una nuova era. L'era dell'espansione della grande distribuzione italiana con conseguente declassificazione dei prodotti, nella fattispecie vinicoli, per far fronte alle quantità necessarie a soddisfare le richieste della clientela. Basta guardare il "rumore" che fece qualche anno fa, una azienda vinicola che osò incartonare il vino per competere con un prodotto a basso costo.
E' stata sempre mia convinzione che la grande distribuzione è come un "tumore" in metastasi, che annulla la cultura collettiva, le tradizioni, qualità alimentare, distrugge, la piccola distribuzione e quello più grave, crea isolazionismo individuale che spersonalizza l'individuo nelle sue espressioni più sociali.
Non faccio peccato a pensare che l'economia in generale, e distributiva in particolare stia condizionata dalla politica. E, in palese "conflitto d'interessi", la politica condiziona i processi produttivi e distributivi.

Gli Eredi: le cooperative all'insegna del brand e del mercato
Il disegno di cui stiamo parlando, fonde una serie di "Contee" dando vita ad un "Gran Ducato" vinicolo con 450.000 milioni di Euro di fatturato. Un progetto para monopolista che condizionerà il mercato vinicolo italiano.
Il "Gran Ducato" rappresentato dalle "Riunite e Civ" che, stando alle dichiarazioni di Emilio Pedron ad G.I.V, non porta nulla di buono, in quanto gli investimenti futuri saranno indirizzati a favore del mercato a scapito dei vigneti e delle cantine, con conseguente rischio occupazionale.

Un impero di marchi
Si ha tutta l'impressione che il "Gran Ducato" non è una fusione di aziende agricole ma più una concentrazione di "Marchi" vinicoli per adeguarsi all'OCMVino . Con l'OCM Vino cambia radicalmente il processo vinicolo italiano, consentendo l'imbottigliamento anche in paesi esteri con marchi italiani, ciò a significare che non servono più i vigneti e tanto meno le cantine. Servono "Magazzini" di stoccaggio e di distribuzione. Fanta ipotesi? Forse, speriamo di no.
Dette ipotesi sono già state anticipate da Enopress affrontando il tema OCM Vino con un apposito articolo da titolo "LO TSUNAMI DELLA VITE E DEL VINO" che si possono trovare sulle pagine di Enopress (cliccandio il 'trovatutto'), oppure sul Blog ( paolopellicciari.blogspot.com )

Come è noto, Enpress è un giornale aperto e sarebbe interessante confrontare queste tesi con altre sicuramente molto più interessanti, perché il tema richiede un attento approfondimento.

Paolo Pellicciari

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