L'EXPO CI
PORTERA' AL CIMIT€URO.
Il
30 ottobre 1947 a Ginevra, 23 paesi firmarono il trattato Il GATT
General
Agreement on Tariffs and Trade
(Accordo
Generale sulle Tariffe ed il Commercio),
Il GATT,
ha generato il trattato WTO
a seguire l'OCM
oltre, ad una lunga serie di trattati di cui l'ultimo TTIP
( Il più controverso) dando così inizio ad un progetto
espansionistico per il controllo del mercato alimentare e non solo,
su scala mondiale. Un'espansione planetaria per il controllo degli
alimenti,
guardando all'irreversibile futuro globalizzato.
Ai giorni nastri con il nuovo stile di vita con i suoi ritmi
frenetici, ha modificato abitudini e comportamenti alimentari a dir
poco rivoluzionari. I giovani mangiano quando vogliono e cosa
vogliono, in giro nelle paninoteche, nei fast food o in pizzeria,
quasi sempre si tratta di cibi prodotti su scala industriale. Si va
al fast food perché è di moda e ci vanno tutti, per placare la fame
ed è chiaro che lì si troveranno sempre quegli stessi alimenti, con
lo stesso sapore e allo stesso prezzo.
L’uomo
occidentale è passato in pochi decenni dalla paura per la mancanza
di cibo a quella per l’eccesso di cibo. La standardizzazione del
cibo, come pure gli esperimenti per renderli più belli e appetibili,
sono i nuovi “dogmi alimentari” del nostro tempo.
Ciò
che mangio nel fast food si associa ad immagini di giovani belli,
spensierati, con molto denaro a disposizione, piace agli amici e si
consuma in loro compagnia, rompe con le tradizioni familiari e ha il
sapore dell’autonomia, si mangia senza posate, è pronto e non
richiede preparazione, non delude e, infine, riesce “bene”
sempre. La patata è, al centro del sistema alimentare dei fast food.
Il
WTO certo è il grande motore della globalizzazione - L'Europa ha
decretato che la carne americana trattata con ormoni artificiali, al
contrario della nostra, è pericolosa per la nostra salute e ha
deciso di non importarla. Una precauzione che però ci costa molto
cara: 340 miliardi di sanzioni americane contro il Vecchio
Continente. Una ritorsione decisa all'Organizzazione Mondiale del
Commercio nel nome delle regole della Globalizzazione.
-
In Toscana e in Piemonte, nel mezzo delle terre più belle e fertili
d'Italia la Globalizzazione ha colpito duro. Il tartufo è uno dei
nostri prodotti più pregiati e lo esportavamo in grandi quantità
negli Stati Uniti d'America; ciò creava reddito per le aziende e i
lavoratori italiani. Ma da qualche anno gli Stati Uniti hanno deciso
di tassare il tartufo del 100%, sbarrandogli la strada. Chi l'ha
deciso? L'Organizzazione Mondiale del Commercio nel nome della
globalizzazione.
-
L'Unione Europea, per proteggere la salute dei nostri figli più
piccoli, ha detto di no all'importazione di giocattoli che contengono
un ammorbidente tossico. Ma anche questa precauzione è oggi nel
mirino dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dei suoi accordi
di globalizzazione.
L'Organizzazione Mondiale del Commercio, WTO è dunque il grande motore della globalizzazione.
L'Organizzazione Mondiale del Commercio, WTO è dunque il grande motore della globalizzazione.
Le sementi
OGM sotto il “controllo delle multinazionali”
Quindici milioni di contadini sono ostaggio degli
Ogm, e 250.000 agricoltori – ridotti sul lastrico – si sono tolti
la vita negli ultimi anni. È l’agghiacciante denuncia lanciata
dalla studiosa ed attivista indiana Vandana Shiva:
il 70% del commercio globale di sementi è ormai controllato da
appena tre grandi multinazionali, e gli organismi geneticamente
modificati, che dovevano aumentare le produzioni e ridurre i
pesticidi, stanno condizionando il sistema agricolo mondiale. Lo
afferma senza mezzi termini un nuovo rapporto, intitolato
“L’imperatore Ogm è nudo”, redatto da ben 20
organizzazioni internazionali e pubblicato da Navdanya
International, associazione con sede a Firenze. Presentati
sin dall’inizio come potenziale soluzione alle crisi alimentari
globali, all’erosione dei suoli e all’uso di sostanze chimiche in
agricoltura, oggi gli Ogm coprono oltre un miliardo e mezzo di ettari
di terreni in 29 diverse nazioni. Ma non sembrano aver mantenuto le
promesse.
Tra le delusioni degli Ogm, la lotta contro i
parassiti: le nuove colture hanno favorito la diffusione di specie
nocive e ancora più pericolose. In Cina, dove il cotone Bt
resistente agli insetti è largamente diffuso, i parassiti sono
infatti aumentati di 12 volte dal 1997. Non solo, una ricerca del
2008 dell’International Journal of Biotechnology ha
rivelato che tutti i benefici dovuti alla coltivazione di questo tipo
di cotone erano stati annullati sia nella Repubblica Popolare che
nella vicina India dal crescente uso di pesticidi, necessari in
quantità sempre maggiori proprio per combattere questi nuovi
“super-parassiti”. Stessa sorte per i coltivatori di soia OGM in
Brasile ed Argentina che, dalla conversione delle loro colture, hanno
dovuto raddoppiare l’uso di erbicidi per disfarsi di super-weeds
capaci di crescere anche di un centimetro al giorno (come l’erba
infestante pigweed). E ciò senza neppure il vantaggio di avere
coltivazioni più resistenti al sole o alla siccità.
Secondo The Gmo Emperor has no clothes. Global
Citizens Report on the State of GMOs, gli Ogm hanno
solamente portato poche multinazionali ad un inquietante strapotere.
Basti pensare che le sole Monsanto, Dupont e Syngenta controllano
oggi il 70% del commercio globale di sementi. Un fatto che permette
ai tre colossi biotech di stabilire (ed alzare) i prezzi a loro
piacimento. Ma che proprio per questo, secondo gli scienziati, sta
avendo conseguenze devastanti su molti degli oltre 15 milioni di
agricoltori diventati loro clienti.
In Africa, Sud America e soprattutto in India, i
suicidi di contadini impossibilitati a sostenere i costi sempre più
elevati dell’agricoltura intensiva imposta dagli organismi
geneticamente modificati sono arrivati a livelli inaccettabili. Solo
nel Paese asiatico, ricorda Vandana Shiva (che
presiede Navdanya International), negli ultimi 15 anni le
persone che si sono tolte la vita per questo motivo hanno superato le
250mila unità: quasi una ogni mezz’ora, dal 1996 ad oggi.
Oltre che gli effetti ambientali e sociali, gli
studiosi temono conseguenze sulla salute, anche se ufficialmente non
ancora dimostrate. Non solo nei Paesi “poveri”, ma anche negli
Usa, che 15 anni fa lanciarono le coltivazioni ogm: oggi gli Stati
Uniti ne sono il primo produttore mondiale, con il 93% delle
coltivazioni di soia, l’80% del cotone, il 62% della colza e il 95%
della barbabietola da zucchero.
In Europa gli organismi geneticamente modificati non
sono ancora penetrati come nel resto del mondo, ma manca poco: “L’UE
– spiega il rapporto – importa il 70% dei mangimi, in massima
parte soia e mais provenienti dagli Stati Uniti” e quasi sempre
geneticamente modificati. Di conseguenza, anche dove non permessi,
gli Ogm “sono potenzialmente presenti nelle farine di mais e di
soia, che figurano come ingredienti di tantissimi prodotti
alimentari”.
Un fatto che non dovrebbe creare allarmismi,
per Mark Buckingham della GM’s
industry’s Agriculture and Biotechnology Council, che al
contrario elogia gli enormi potenziali benefici di queste tecnologie.
“Dall’India al Sudafrica, milioni di contadini hanno già
valutato l’impatto positivo che la tecnologia degli Ogm può avere
sul loro lavoro”, afferma il dottor Buckingham: “La popolazione
mondiale raggiungerà i nove miliardi entro il 2050. Un significativo
aumento dei raccolti è quindi necessario, soprattutto nei Paesi in
via di sviluppo”.
Il continuo progredire della ricerca, inoltre,
secondo Buckingham potrà portare gli Ogm a
fronteggiare anche sfide come quella dei cambiamenti climatici: “Si
sta sviluppando una tecnologia per la tolleranza alla siccità, che
permetterà alle colture di affrontare senza problemi periodi di
bassa umidità dei terreni”. Ogm come soluzione ai problemi
ambientali? Per Vandana Shiva, in realtà “il modello degli
Ogm scoraggia i contadini nel provare metodi di coltivazione
più ecologici”, e le corporation che lo promuovono stanno
“distruggendo le alternative” al solo scopo di “perseguire il
profitto”.
Oste
è buono il vino?
Anche
il vino non è immune dalla rivoluzione alimentare che sta prendendo
sempre più piede il vino liofilizzato che richiama al nostro Paese.
Per acquistarlo bastano pochi clic e immediatamente arriva a casa la
bustina di vino (Barolo, Valpolicella, Amarone ecc.) con le relative
etichette che richiamano al nostro Bel Paese. Tutto ciò mentre i
produttori italiani e il governo lottano quotidianamente per far
conoscere il nostro straordinario vino nel mondo.
Il finto Barolo è Made in Italy.
Mentre centinaia di produttori si adoperano per diffondere nel mondo
l’immagine del vino d’eccellenza italiano, altri pare
preferiscano percorrere strade ‘alternative’, facendo conquistare
al Bel paese un primato imbarazzante. Per acquistare una confezione
di Barolo liofilizzato infatti basta un clic, così come per fare
proprie bustine di Cabernet Sauvignon, Montepulciano, Amarone oppure
Valpolicella.
L’operazione è semplice: si
acquista il vino di proprio gradimento e, insieme a questo, viene
fornito un kit che contiene una busta di vino liofilizzato, le
etichette da applicare alle bottiglie e il relativo tappo. Ma quello
che forse più fa rabbrividire è che sulle confezioni di vino
fai-da-te appaiono simboli che richiamano l’Italia, come il
Colosseo, paesaggi tipicamente toscani oppure il tricolore. Mesi di
indagini hanno permesso di ricostruire parte della catena della
produzione di vini liofilizzati, la cui capofila sarebbe una azienda
emiliana che raccoglie dai produttori il succo d’uva concentrato.
Quindi, a mezzo cisterne, da due porti dell’Adriatico il prodotto
raggiungerebbe il Canada, dove il mosto verrebbe liofilizzato e poi
esportato nei Paesi del nord Europa in cui la vendita è legale. E
poi anche in Cina, Stati Uniti, Thailandia e Inghilterra.