mercoledì 30 gennaio 2019
domenica 6 gennaio 2019
Macron ha sbagliato per arroganza e ingordigia.
Il commento di Pierluigi Magnaschi, direttore del quotidiano Italia Oggi
Sul presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron tutti i grandi giornali e gran parte dei politici di tutto il mondo hanno preso, sin dall’inizio, un colossale abbaglio. Ma non ItaliaOggi che lo ha sempre dipinto per quel che era e quel che è: un politico surgelato, uscito dalla grandi scuole francesi, pieno di arroganza e sprovvisto di empatia con la gente. Gli altri invece lo hanno ritenuto l’uomo politico nuovo, non solo per la Francia, ma lo hanno descritto anche come un nuovo modello di statista in grado di pilotare efficacemente i paesi inquieti di questo esordio del Terzo millennio.
Adesso che Macron viene sfiduciato dall’80% dei francesi e viene messo in discussione dal movimento delle giacche gialle che lo contesta visibilmente sulle strade bloccando il Paese senza esibire bandiere politiche di nessun tipo e avendo addirittura contro le centrali sindacali, ma indossando solo la giacchetta catarifrangente che gli automobilisti usano per evitare di essere investiti quando camminano per strada, i commentatori si ostinano a dire che questa rivolta è dovuta, tenetevi forte, all’aumento di 6,5 centesimi di euro al litro per il gasolio (che arriva così a 1,5 euro al litro) e di 2,9 centesimi di euro al litro per la benzina che, in tal modo, arriva a costare 1,64 centesimi al litro (quando in Italia essa viene tranquillamente venduta a 1,64).
Dire che sono stati questi micro-aumenti a scatenare la piazza sarebbe come dire che è stato il bambino che è entrato con un fiammifero acceso in un deposito di dinamite a far saltare tutto. Se non ci fosse stata la dinamite, il cerino non avrebbe fatto saltare niente, al massimo avrebbe scottato le dita dell’incauto ragazzo. La protesta è divampata in Francia perché la gestione di Macron aveva prodotto un sacco di dinamite che attendeva solo un innesco per esplodere.
Prima di questi sommovimenti di piazza, la presidenza Macron era già stata violentemente scossa da risse interne e di malcontento esterno. Non a caso Macron gradiva essere chiamato Jupiter, Giove, cioè il più potente di tutti gli dei. I suoi uomini più fedeli, essendo umani, non hanno resistito a coabitare con un Dio, sia pure dell’antica Grecia. Per cui Gerard Collomb che era l’esponente più importante ed esperto del suo governo, non solo perché ministro dell’Interno (che in Francia è una figura potentissima) ma anche perché è stato il vero creatore del movimento En marche, d’improvviso si è dimesso dal governo, facendo capire che si era stufato.
Poco prima di Collomb aveva voltato le spalle a Macron anche il potentissimo ministro della transizione ecologica Nicolas Hulot che, oltre ad essere stato un notissimo animatore tv e uno stimato politico, era stato scelto specificamente da Macron come l’elemento nuovo del nuovo governo francese. Anche il portavoce dell’Eliseo, Bruno Roger-Petit, pur essendo un sansepolcrista macroniano, se ne era andato sbattendo la porta. L’elenco potrebbe continuare. Ma anche solo questi pochi esempi dimostrano che la macchina di Macron è da tempo che perde pezzi.
E questo avveniva ed avviene anche se Macron è stato eletto da poco, dal 7 maggio 2017. Dovrebbe quindi essere ancora nella luna di miele con i suoi elettori e con la Francia. Tutti infatti, al momento della sua elezione, non solo davano per scontato per Macron un primo quinquennato radioso ma anche un secondo quinquennato inevitabile.
Invece, non sono ancora passati ancora due anni e Macron ha già raggiunto l’infima popolarità del suo predecessore François Hollande alla fine del suo mandato (cioè il 20% di gradimento da parte dei francesi). Quello era uno score così basso che Hollande, anche se non si è mai verificato prima per un presidente francese uscente, decise di non ricandidarsi per non essere sonoramente sconfitto: meglio ritirarsi che essere cacciato. Come era inevitabile con quell’indice.
Macron ha sbagliato per arroganza e ingordigia. Avendo in mano un Paese che, per certi versi, è come l’Italia (ha infatti un pil di poco superiore) ha bluffato, giocando la carta dell’internazionalizzazione. Ha girato il mondo più di una trottola, passando da un vertice all’altro e ovunque tenendo un discorso forbito ma sempre inconcludente.
Per trovare le parole adatte, Macron ha addirittura allestito all’Eliseo un dipartimento di scrittori dei suoi discorsi, mobilitabile all’istante. Un’industria della parole. Fiorentissima. Ma il ruolo internazionale un Paese lo può svolgere se hai i mezzi per farlo.
Macron, ad esempio, ha cercato di tirare dalla sua Trump, invitandolo alla sfilata dai Champs Elysèes quando nessuno se lo filava né in Usa né all’estero. Ma quando Trump, che è essenzialmente un uomo d’affari, ha invitato la Francia a onorare il suo impegno per la Nato che è pari al 2% del pil,
Macron ha dovuto ammettere che non ha i soldi per farlo. E allora Trump che i discorsi (degli altri) non li sta a sentire, l’ha fatto cadere come una pera. Inoltre quando la Merkel era forte, Macron l’ha contestata. Adesso che è l’ombra di se stessa vi ci si aggrappa. Insomma sono alla frutta. E noi, purtroppo, con loro.
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