giovedì 30 agosto 2018
ENRICO MATTEI
, stessa morte, stesso sogno: un’Italia libera
Nel 55° anniversario della morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, del suo pilota personale Irnerio Bertuzzi e del giornalista americano che viaggiava con loro, William McHale di Life, ricordiamo non solo il sogno di Mattei, quello di “fare” la benzina oltre che automobili, ma anche quello del suo pilota Irnerio Bertuzzi, già coraggiosissimo ed eroico pilota dell’Areonautica nazionale repubblicana, della Rsi, che divenne dal 1957 fino alla morte, l’uomo di cui Mattei si fidava ciecamente, lui che era stato un partigiano bianco e che aveva la scorta formata dai vecchi compagni della resistenza. I due erano diventati amici, Mattei gli aveva regalato un cane da caccia, essendo entrambi appassionati di arte venatoria. Di Enrico Mattei è stato detto e scritto tutto, con ogni mezzo: libri, articoli, film, documentari. Oggi sappiamo che aveva un sogno italiano, quella di rendere la sua patria il più possibile indipendente dalle forniture energetiche,e per farlo aveva anche aperto concretamente al nucleare, capendo che il futuro era quello. Sappiamo anche, oggi, che Mattei, Bertuzzi e McHale furono assassinati e che quello di Bascapè non fu un “incidente” di volo. Oltre al fatto che Bertuzzi era espertissimo e attentissimo, ci sono le testimonianze di persone che hanno visto l’aereo esplodere e poi precipitare, malgrado il fatto che alcune di queste testimonianze furono prontamente ritrattate. “Gli obiettivi di Mattei in Italia ed all’estero dovrebbero destare preoccupazioni. Mattei rappresenta una minaccia per gli obiettivi della politica che gli Stati Uniti intendeono perseguire in Italia”. Così si legge in un rapporto del Dipartimento di Stato americano datato 3 settembre 1957. Il 1957 è l’anno in cui l’Eni di Enrico Mattei stringe accordi che rimarranno alla storia con i governi dell’Egitto e dell’Iran. Ed è proprio da quell’anno che la politica dell’ente energetico italiano si manifesta in tutta la sua carica dirompente per gli interessi petroliferi anglo-americani nel Mediterraneo (vedi il libro Mattei Obiettivo Egitto- L’Eni, Il Cairo, le Sette Sorelle – Armando Editore). Egitto, Iran, ma non solo: Mattei stava per chiudere l’accordo anche con l’Algeria, cosa che ha dato la stura a ipotesi improbabili come la presenza dell’Oas nel concepimento dell’attentato. Mattei infatti si era pronunciato per l’indipendenza dell’Algeria, cosa che aveva disturbato la Francia e le sue potenti compagnie petrolifere. Ma anche gli inglesi furono danneggiati da Mattei: il presidente dell’Eni si era infatti adoperato per far approvare in Iraq arabo una legge, la 80, che estrometteva le aziende petrolifere inglesi dal 90% del territorio iracheno. Operazione però vanificata da un golpe militare, sostenuto dagli angloamericani, che sovvertì il regime di Qassem e, come prima misura, cancellò proprio quel provvedimento. Il problema cruciale era il sogno di Mattei relativo alla la sovranità energetica dell’Italia. In un momento in cui si riparla di sovranità.
domenica 26 agosto 2018
CROLLATO IL PONTE DI GENOVA
Crollo del Ponte di Genova, tiranti "ridotti del venti per cento": Ministero e Autostrade “sapevano”
Il verbale di una riunione tra Infrastrutture, Direzione generale di vigilanza, Provveditorato opere pubbliche e società di gestione dimostra che fin da febbraio 2018 la gravità della corrosione era nota. Il documento è firmato da Roberto Ferrazza e Antonio Brencich, ora nominati presidente e membro esperto della commissione d'indagine del governo.
La strage del ponte Morandi a Genova non può essere una sorpresa. Il ministero delle Infrastrutture, la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali a Roma e il Provveditorato per le opere pubbliche di Piemonte-Valle d'Aosta-Liguria a Genova, insieme con Autostrade per l'Italia della famiglia Benetton, conoscevano perfettamente la gravità del degrado del viadotto collassato la mattina di martedì 14 agosto, provocando la morte di 43 persone.
Almeno sette tecnici, cinque dello Stato e due dell'azienda di gestione, sapevano infatti che la corrosione alle pile 9 (quella crollata) e 10 aveva provocato una riduzione fino al venti per cento dei cavi metallici interni agli stralli, i tiranti di calcestruzzo che sostenevano il sistema bilanciato della struttura. E che nel progetto di rinforzo presentato da Autostrade erano stati rilevati «alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo». Nonostante queste conclusioni, in sei mesi da allora né il ministero né la società concessionaria hanno mai ritenuto di dover limitare il traffico, deviare i mezzi pesanti, ridurre da due a una le corsie per carreggiata, abbassare la velocità. Come si dovrebbe sempre fare, in attesa dell'avvio dei lavori, per garantire la sicurezza e alleggerire il carico e l'affaticamento della costruzione.
È tutto scritto nel verbale della riunione con cui il primo febbraio 2018 il Provveditorato alle opere pubbliche di Genova rilascia il parere obbligatorio sul progetto di ristrutturazione presentato da Autostrade. Il documento, che smentisce quanto la società di gestione continua a dichiarare sull'imprevedibilità del disastro, è firmato tra gli altri dal provveditore, l'architetto Roberto Ferrazza, e dall'esperto esterno, il professore associato della facoltà di ingegneria dell'Università di Genova, Antonio Brencich, che già nel 2016 e più volte nelle interviste tv di questi giorni ha denunciato le condizioni critiche del ponte.
Ma nel luogo istituzionale dove portare le proprie osservazioni, in nessuna parte della riunione come dimostra il verbale, nemmeno nel capitolo che riguarda le interferenze con il traffico autostradale, Ferrazza e Brencich prescrivono raccomandazioni sui volumi di traffico che tengano conto delle condizioni dei tiranti, dell'incognita del calcestruzzo. E della conseguente riduzione dei margini di sicurezza, che il crollo ha poi rivelato.
Il crollo del ponte merita di sicuro un approfondimento per ricordare i motivi della “gestione” privata dell'opera.
Chi ha “ucciso” Genova? E perché il ponte Morandi era in mano private?
Mentre la Società Autostrade pensa ai suoi azionisti, ai piccoli investitori, senza nemmeno degnarsi di non far pagare il pedaggio alle autoambulanze, mentre parte della politica nostrana parla come al solito di sciacallaggio da parte di forse politiche avverse, e giornalisti gigioni, per questo caso, invocano lo stato di diritto, magari agognando la prescrizione per i responsabili, visto che per accertare le responsabilità in Italia ci vogliono una decina di anni, sarebbe opportuno e giusto mettere al centro dell’attenzione e di ogni discussione le vittime, i loro familiari, i dispersi, i sopravvissuti e tutti i cittadini di Genova, rimasti coinvolti in questa tragedia che certamente non è stata una fatalità, chiedendoci perché il ponte Morandi era finito in mano Private.
“Il 7 febbraio 1992, veniva firmato il Trattato di Maastricht, entrato in vigore l’anno successivo, nel 1993. Il ’93 è l’anno in cui il governo Ciampi istituisce il Comitato Permanente di Consulenza Globale e di Garanzia per le Privatizzazioni; sempre in quell’anno gli accordi del ministro dell’industria Paolo Savona* con il Commissario europeo alla concorrenza Karel Van Miert e quelli del ministro degli Esteri Beniamino Andreatta con Van Miert, impegnano l’Italia a fare la “messa in piega” alle aziende di Stato perché divengano appetibili per gli investitori privati”. Nelle stanze del potere si accende una diatriba tra chi coleva “vendere e chi no” Andreotti non voleva “vendere”, sotto processo a Palermo. Falcone, Borsellino e il Generale Dalla Chiesa uccisi in modo “Brutale” Bettino Craxi ( non ci dimentichiamo di “Sigonella”) anche lui non voleva vendere. Dovette subire un'altra violenza Le monetine davanti all’Hotel Raphael 25 anni fa Bettino Craxi fu contestato all'uscita da un albergo, in quella che nel tempo è diventata la scena simbolo della fine della Prima Repubblica
Craxi voleva essere intervistato dalle reti televisive per informare gli italiani di quello che stava succedendo. Gli rapiscono i figli con la minaccia di essere uccisi se avesse rilasciato interviste.
Craxi nel 1994 si rifugiò in esilio in Tunisia. E lì trascorse gli ultimi sei anni della sua vita. Pochi mesi pima di morire, nella speranza che il parlamento si decidesse a varare una commissione di inchiesta su Tangentopoli, Craxi scrisse un memoriale di 24 pagine, che poi, non fu consegnato a nessuno, perché la commissione d'inchiesta non fu mai formata, forse per pigrizia, più probabilmente per non sfidare la magistratura, che non avrebbe gradito.
Cagliari presidente dell'ENI non voleva vendere, tradotto in carcere ove si “suicidò” Raul Gardini si suicidò a casa, con la pistola trovata pochi metri da lui. Tralascio l'eleco dei suicidi per salvaguardare le loro memoria e integrità morali.
Concludo toccando il tasto fiscale. Con le privatizzazioni quanti miliardi ha perduto lo stato di gettito fiscale?
Creo che abbia ragione Diego Fusaro, che identifica mani pulite con un “Colpo di Stato”. Il breve governo Berlusconi, nel 1994, implicò una frenata che si prolungò fino al 1996: poi, con i governi Prodi e D’Alema, le dismissioni presero la ricorsa. Il gruppo IRI fu smembrato e messo in vendita: il ricavo immediato fu di 30 mld di vecchie lire, lievitati poi sino a 56mila e passa. Una cordata capitanata dagli Agnelli si aggiudicò Telecom. Ciampi, allora ministro del Tesoro, spiegò che serviva a impedire che Fiat vendesse all’americana General Motors. D’Alema, arrivato al governo alla fine del 1998 patrocinò il cedimento di Autostrade a Benetton, introducendo una delle principali specificità delle privatizzazioni all’italiana: la vendita allo stesso soggetto sia del servizio che delle infrastrutture, le autostrade e i caselli, Telecom e i cavi sui quali viaggia il segnale.
Anche Beppe Grillo, nel 1992, era a bordo della Britannia. Sì, proprio quella Britannia, sulla quale i potentati albionici costrinsero il Governo Italiano a dare il via alle privatizzazioni industriali. Assieme all’attuale leader del M5S erano presenti i rappresentanti dei poteri forti italiani e decine di manager ed economisti internazionali, invitati dalla Regina Elisabetta in persona.
Lo rivela Enrico Mentana, in quei giorni al porto di Civitavecchia con la troupe del TG5. Il giornalista intervistò Beppe Grillo sbarcato dal tender del panfilo. Alle domande di Mentana il futuro leader pentastellato rispose che a bordo erano state discusse cose molto interessanti. Poi si dileguò, rapido come una stella cadente. Anche Emma Bonino ha confermato la presenza a bordo del comico genovese: “Non so a che titolo fosse lì, ma la cosa mi parve abbastanza strana.
Oggi tutto è più chiaro”.
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