La Francia vuole fermare gli spinosi negoziati commerciali UE-USA sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), mentre il presidente François Hollande sottolineava che non ci sia alcun problema finché il presidente Barack Obama lascerà a gennaio. Matthias Fekl, ministro per il Commercio Estero francese affermava che il suo Paese chiederà di por fine all’accordo. La Francia era scettica sul TTIP fin dall’inizio e minacciava di bloccare l’accordo sostenendo che gli Stati Uniti offrivano ben poco in cambio delle concessioni dell’Europa. I 28 membri dell’Unione Europea e il Parlamento europeo dovranno ratificare il TTIP prima dell’entrata in vigore. Il bilancio s’è avuto un paio di giorni dopo dal ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel secondo cui i colloqui per il TTIP sono di fatto falliti. Gabriel, che guida il partito socialdemocratico della Germania ed è vice-cancelliere nel governo di coalizione, aveva detto che l’Europa non deve accettare le proposte statunitensi. La dichiarazione di Gabriel contrastava con la posizione della cancelliere Angela Merkel che sostiene l’accordo. Nel frattempo, i conflitti tedesco-statunitensi crescono. Tribunali e autorità degli Stati Uniti adottano la linea dura nei confronti del Gruppo Volkswagen, il più grande produttore di auto della Germania, per lo scandalo sugli scarichi. Con un accordo che non include tutte le richieste di danni, VW deve pagare 13,6 miliardi di euro. Vi è un crescente coro in Germania secondo cui il Paese dovrebbe orientarsi sull’Asia. Questa prospettiva è condivisa dagli organizzatori della lobby anti-TTIP, tra cui Federazione sindacale tedesca (DGB), Partito della Sinistra e Verdi. Il fatto che l’ex-primo ministro inglese David Cameron, sostenitore dichiarato del TTIP, non sia più interessato alle trattative è un’altra grave sconfitta dell’accordo, che a questo punto è ritenuto da molti un cadavere. I negoziati sul TTIP sono in corso dal 2013, nel tentativo di creare un’enorme zona di libero scambio che eliminerebbe molte tariffe. Dopo 14 colloqui durati tre anni non un solo elemento comune dei 27 capitoli in discussione è stato concordato. Gli Stati Uniti hanno rifiutato di accordarsi sulla parità tra imprese europee e statunitensi sugli appalti pubblici, secondo il principio del “comprare americano”. Gli oppositori dell’accordo ritengono che nella sua forma attuale, il TTIP sia troppo condiscendente con le imprese degli Stati Uniti. Una delle principali preoccupazioni sul TTIP è che potrebbe consentire alle multinazionali di “citare in giudizio” i governi per l’adozione di azioni che potrebbero danneggiarne le attività. I critici sostengono che le aziende statunitensi potrebbero evitare di aderire alle varie norme su salute, sicurezza e ambiente dell’UE sfidandole in istituiti di giudizio per risolvere le controversie tra investitori e Stati.
In
Europa migliaia di persone sostenute da gruppi sociali, sindacati e
attivisti hanno protestato contro l’accordo. 3 milioni di persone
hanno firmato una petizione che ne chiede la demolizione. Per
esempio, diversi sindacati e altri gruppi protesteranno contro il
TTIP in Germania il 17 settembre. L’accordo commerciale è sotto
attacco anche in Canada. Il candidato presidenziale statunitense
Donald Trump ha promosso politiche commerciali protezionistiche,
mentre la rivale Hillary Clinton ha anch’ella messo in dubbio il
TTIP. L’opposizione del Congresso s’è irrigidita. I legislatori
della camera hanno inveito contro gli accordi di libero scambio come
sleali per società e lavoratori statunitensi. Tali sviluppi
avvengono sullo sfondo di un altro importante accordo di libero
scambio, il Trans Pacific Partnership (TPP), ridimensionato sulla via
del Congresso. Le possibilità sono davvero esigue. Il fallimento
probabilmente sarà una grande sconfitta che minerà la credibilità
degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico e nel mondo. Secondo il
primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong, per amici e partner
degli USA la ratifica del patto commerciale era il banco di prova
delle credibilità e serietà degli Stati Uniti. Le operazioni sono
state problematiche, soprattutto perché contengono clausole che
consentono alle aziende di citare in giudizio nazioni sovrane, viste
come un tentativo degli Stati Uniti di affermare la propria influenza
politica, diplomatica e aziendale. Come già illustrato, anche gli
statunitensi li rifiutano, accusando il North American Free Trade
Agreement per l’esodo della produzione dagli USA verso destinazioni
più economiche. Ma l’incapacità di far approvare gli accordi
metterà in dubbio lo status degli Stati Uniti di superpotenza
globale. Negli Stati Uniti la disuguaglianza cresce. I prestiti agli
studenti sono in aumento, come pure buoni pasto e costi
dell’assicurazione sanitaria. Nel frattempo, forza lavoro
impiegata, case di proprietà e redditi familiari medi sono crollati.
I 19 trilioni (19 mila miliardi) di dollari di debito del governo
degli Stati Uniti sono un problema enorme. Le lunghe guerre in
Afghanistan e Iraq hanno preteso un prezzo enorme ed oneri finanziari
immensi, stimati in 6 trilioni di dollari. Il centro di detenzione di
Guantanamo Bay, così come gli scandali dello spionaggio della NSA e
di Wikileaks hanno
minato la convinzione nei valori e diplomazia statunitensi. La spesa
per la difesa è enorme, ma la sua efficacia è messa in discussione.
“Siamo
in una crisi drammatica ora. Non c’è dubbio che possiamo
affrontare le minacce del terrorismo, ma abbiamo raggiunto un punto
in cui, infatti, non ci dirigiamo verso, ma finiamo entro una grave
minaccia”,
aveva detto il capo dello staff della maggioranza del Comitato
servizi armati del Congresso Bob Simmons presso l’American
Enterprise Institute (AEI). il 21 giugno. “Non
abbiamo la capacità necessaria ad affrontare efficacemente minacce
elevate”.
Tra
i disastri della politica estera in Medio Oriente, l’ascesa dei
fondamentalisti islamici in diverse nazioni ha creato una crisi per
l’occidente, anche per gli Stati Uniti, ma più immediatamente e in
particolare per l’Europa travolta dai rifugiati. L’occidente
raccoglie i risultati di fallimenti della politica estera degli USA,
affrontando a malapena centinaia di migliaia di rifugiati da Siria e
Medio Oriente. Ci sono scarse prove che in questo secolo gli Stati
Uniti abbiano raggiunto i propri obiettivi in politica estera. E
mentre gli Stati Uniti sono in stagnazione, alcuni Paesi, come
Russia, Cina e molti altri, prosperano. Questa combinazione di
declino in patria e all’estero, riduce notevolmente il potere
internazionale degli Stati Uniti. Alla fine del secolo alcuni
sostennero che il 20° secolo fu soprannominato “secolo americano”.
Negli ultimi 16 anni, le fortune statunitensi sono cambiate con una
velocità vertiginosa. La scommessa più sicura è che il 21° secolo
non sarà degli USA. Il rifiuto del TTIP dei capi europei e le
proteste popolari contro l’accordo lo testimoniano.