Di Paolo Pellicciari
Già Luigi Enaudi nel 1897 ebbe a scrivere
un articolo sul giornale “La Stampa” dal titolo “ Stati Uniti
d'Europa” scrisse: “La
federazioe europea nascerà dalla diffidenza e dalla insicurezza
reciproca e non dall’amor fraterno e dagli ideali umanitari, ma non
sarà tuttavia meno gloriosa”.
I fatti di questo ultimo secolo, hanno
dimostrato la visione precorritrice, della notevole analisi di un
intellettuale che diventerà, alcuni anni dopo, il primo e il più
idoneo Presidente della Repubblica.
Nel
marzo del 1957 si firmarono a Roma gli accordi per la costituzione
della UE. La lenta costruzione europea che conosciamo oggi, nasce da
una frammentazione d'accordi che hanno creato un imponente
architettura ancora incompleta con molte sfaccettature
incomprensibili e deludenti.
Dall'articolo
di Luigi Enaudi sono scoppiate due
guerre mondiali con la loro genesi di nazionalismi europei frutto di
una incontrollata esibizione di potenza, di odi manifesti che da
Napoleone con la sconfitta di Waterloo mancò la “costituzione”
dell'Europa.
La
battaglia di Waterloo
Fu l'ultima battaglia di Napoleone che segnò la sua definitiva
sconfitta è stata una delle più combattute e sanguinose delle
guerre napoleoniche. Napoleone,
Giulio Cesare, Alessandro Magno, Carlo Magno... tutti uomini che
"hanno fatto la Storia", ma le hanno davvero impresso un
corso diverso? O si sono semplicemente messi grazie alle loro abilità
alla testa di forze storiche indipendenti da loro? Senza la loro
esistenza, il mondo sarebbe stato radicalmente diverso o per concetti
generali sarebbe stato lo stesso? Riprendendo la metafora di non so
quale utente del forum, la Storia è come un'enorme nave in
movimento. Nessuna forza umana può cambiare drasticamente la
direzione di una nave, la si può influenzare lentamente, ma il
'timone della Storia' rimane nella stessa mano troppo poco tempo per
darle un corso veramente diverso. E inoltre la direzione di massima
della nave la decidono i venti e le correnti, al di fuori
dell'arbitrio umano.
Insomma
ritengo che senza Cesare ed Augusto la Repubblica Romana si sarebbe
comunque trasformata in Principato; senza Carlo Magno l'ex impero
d'Occidente avrebbe comunque trovato una sua unità. Senza Napoleone
l'Europa sarebbe comunque diventata liberal-borghese; Le
due guerre mondiali del Novecento hanno la loro genesi nei
nazionalismi
europei,
che sono a loro volta il prodotto di una incontrollata volontà di
potenza e di accesi odi atavici che, dalle guerre napoleoniche si
trascinano fino alle macerie dell’aprile 1945. Dopo a drammatica
esperienza, le classi dirigenti dell’Europa occidentale, hanno
compreso che occorreva creare una istituzione per una cooperazione
stabile, per evitare nuovi conflitti e divisioni. L’Europa che
nasce nel secondo dopoguerra ha una matrice continentale saldata
sull’asse Parigi
– Bonn.
Senza la condivisione d'intenti tra la Francia e la Germania la
Comunità Europea non sarebbe esistita. I francesi Robert Schuman e
Jean Monnet capiscono che la Francia e la Germania dovessero creare
un armistizio permanente per mettere solide basi della nuova Europa,
ma Unita. Nasce la prima Europa dei 6 (Francia, Germania, Italia,
Belgio, Olanda, Lussemburgo). Jean
Monnet nel
febbraio 1955 già vagheggiava di dare vita agli Stati Uniti
d'Europa. Il trattato di Roma del 1957 stabilisce le modalità di
un’unione
doganale,
con comuni politiche agricole e commerciali come la libera
circolazione delle merci e delle persone. I rappresentanti politici
europei, perdono la grande occasione di creare gli Stati Uniti
d'Europa. Uno Stato Federale coordinatore delle politiche sociali ed
economiche punto di riferimento per gli stati membri sotto una unica
politica monetaria, economica, industriale, estera, della
difesa,dell'energia e sociale. L'Europa che delle sette nazioni più
industriali al mondo ne aveva cinque, una grande potenza economica.
Persa
l'occasione di fondare gli Stati Uniti d'Europa, si è creato una
aggregazione di Stati con diverse identità politiche, economiche,
culturali ed etniche alla ricerca di una identità, mentre
l'imperversare di scorribande di diverse etnie economiche, che la
stanno predando i “gioielli di famiglia” europei con la
complicità dell'immobilismo della classe politica delle nazioni che
costituiscono la Comunità Europea.
Il
successo di questa iniziativa è denotato dalla richiesta di ingresso
di Gran Bretagna (De Gaulle ne aveva impedito l’ingresso negli anni
Sessanta), Irlanda e Danimarca che entrano nel 1973, non certo per
convinta vocazione europeista, ma per convenienza, specialmente la
Gran Bretagna anche se rimarrà sempre ritrosa (come oggi Cameron) a
cedere pezzi della sua sovranità all’Europa.
Tutti
i successivi allargamenti della Comunità – che dal primo novembre
1993 diventa Unione europea – non nascono da ragioni ideali,
ma i nuovi Stati entranti valutano con interesse l’area europea
perché garantisce una più rapida crescita e una maggiore stabilità
economica. Oggi gli Stati membri sono 27,
17 paesi hanno l’euro come moneta e la Lettonia,
in rapida espansione economica, ha chiesto di adottarlo.
Il
passo successivo – che ha portato alla creazione dell’Unione
Europea – poggia su tre pilastri: una politica
estera e
una sicurezza comuni, una giustizia
comune,
un’economia monetaria. Sul secondo e terzo punto sono stati fatti
importanti passi avanti, ma su politica estera e difesa comune
l’Unione europea ha subito clamorose sconfitte che ne hanno svilito
il peso internazionale: in
tutte le fasi delle guerre di decomposizione della ex
Jugoslavia negli
anni Novanta, l’Europa non è riuscita ad avere una linea comune
privandosi della forza diplomatica necessaria a costruire un processo
di pace. In Serbia e in Kosovo, nel cuore del continente europeo,
sono dovuti intervenire la Nato e gli Stati Uniti; dopo
l’invasione Usa dell’Iraq
nel
marzo 2003, l’Unione europea si è presentata un’altra volta in
ordine sparso con differenti posizioni: Gran Bretagna e Polonia hanno
inviato delle truppe, l’Italia ha fornito l’appoggio diplomatico,
la Francia e la Germania si sono opposte al conflitto.
Sul
piano economico l’attuale Patto
di Stabilità e Crescita è
distante dalle esigenze di rilancio. Possibile che in un’Europa
dove la somma del prodotto interno lordo dei singoli Paesi sarebbe da
prima potenza mondiale, non si riesca a concepire che modeste
politiche all’insegna dell’austerità,
a loro volta fautrici di ulteriore recessione?
Altro
punto dolente: l’Unione europea è un presidio di democrazia?
Teoricamente sì, ma il governo dell’ungherese Viktor
Orban sta
infrangendo il diritto comunitario con una serie di provvedimenti
liberticidi
come
la riduzione dell’autonomia del potere giudiziario e la limitazione
della libertà
di stampa.
Le istituzioni europee hanno espresso le loro critiche, ma oltre a
questo non si è andati, con la conclusione che nell’Ue può starci
anche un Paese a democrazia limitata come l’Ungheria.
Molte
cose mancano ancora all’Europa: una costituzione (abbandonata
nel 2009 dopo le bocciature referendarie in Francia e Olanda), un
governo e un presidente eletti dai cittadini.
L’integrazione
europea è giunta a un punto che richiede passi successivi. Se questa
Europa rimane incompiuta
rischia
di sgretolarsi al persistere delle crisi, all’affiorare di
populismi e localismi. Più che idealismo (nessun
dubbio che l’europeismo sia una nobile aspirazione) serve –
sempre e soltanto – un’istituzione che si accrediti per la sua
capacità di arginare la crisi andando oltre ciò che i singoli Stati
non riescono a fare. E’ giusto che i cittadini facciano un passo
verso l’Europa, ma è indispensabile che l’Europa agisca in forma
trasparente nell’interesse dei suoi cittadini, a cominciare da
quelli in difficoltà economica e in cerca di lavoro. Se vogliamo
morire europei – dopo essere nati francesi, tedeschi o italiani –
non c’è altra strada.
Non
ci vuole la palla di cristallo per capire la necessità di avviare al
più presto il progetto Stati Uniti d'Europa, considerando che le
nostre nazioni stanno diventando troppo piccole in prospettiva di un
mondo globalizzato, dove le nuove potenze economiche emergenti
entreranno in competizione con l'Europa che resterà debole se non
deprivatizza il sistema delle banche centrali e con esse la BCE e
ricondurre i processi economici sotto il controllo del parlamento
europeo e dei parlamenti nazionali.
A
seguire necessità legiferare sulle valutazioni delle società di
rating che, quali soggetti privati, possono o potrebbero manipolare
il mercato finanziario a favore del sistema bancario speculativo.
I "rating" sono
dei voti su una scala predeterminata, generalmente espressa in
termini di lettere e/o altri simboli. Esistono molte agenzie di
rating, ma le più conosciute e influenti sono la Standard &
Poor's, Moody's Investor Service e Fich Ratings. Queste società
fondate per aiutare ad affrontare i problemi di asimmetria
informativa presenti sul mercato al fine di aumentarne l'efficienza a
livello globale fornendo informazioni utili d'investimento.
Gli investitori presenti
sui mercati si affidano infatti ai giudizi emessi dalle agenzie di
rating per decidere quali titoli comprare e in che misura, a seconda
della predisposizione al rischio dei soggetti investitori. Non solo,
ma possono condizionare le politiche economiche degli stati sempre
con l'obbiettivo speculativo.
Il 13 febbraio 2012,
l'agenzia di Rating Moody's ha declassato gran parte dei paesi
europei, in particolare il debito dell'Italia è stato declassato da
A2 ad A3, con outlook negativo, suscitando critiche nell'ambiente
economico e dello stesso governo italiano
Lo stesso governatore
della BCE, Mario Draghi, ha recentemente affermato come "bisognerebbe
imparare a vivere senza le agenzie di rating o quanto meno imparare a
fare meno affidamento sui loro giudizi".